Nel 1945, in uno scenario che presenta rovine e distruzione in ogni dove, la Federazione è chiamata all’arduo compito di far ripartire il campionato italiano di calcio. Le comunicazioni tra nord e sud della penisola italiana sono decisamente difficoltose, per non dire quasi impossibili; i bombardamenti hanno reso impraticabile l’attraversamento dell’Appennino tosco-emiliano, la rete ferroviaria è dissestata e il carburante scarseggia. E’ quindi inevitabile che si rimandi la ricostituzione della Serie A a girone unico e si torni, almeno per una stagione, alla suddivisione delle squadre in base alla collocazione geografica.
Il girone Alta Italia vede ai nastri di partenza Andrea Doria, Atalanta, Bologna, Brescia, Genoa, Internazionale, Juventus, Milan, Modena, Sampierdarenese, Torino, Triestina, Venezia e Vicenza; nel torneo del Centro-Sud competono Anconetana, Bari, Fiorentina, Lazio, Napoli, Palermo, Pescara, Pro
Livorno, Roma, Salernitana e Siena.
Dopo tre anni e mezzo di inattività si rivede anche la nazionale azzurra. Vent’anni di regime non si scordano tanto in fretta, le relazioni con il resto d’Europa sono infatti ai minimi storici; è la neutrale Svizzera a riammettere l’Italia nel calcio internazionale, invitandola per un’amichevole in terra elvetica. L’11 novembre a Zurigo Vittorio Pozzo schiera, più per incapacità di imporre le proprie idee che per convinzione, la nazionale italiana con il sistema (WM), inserendo in formazione ben sette elementi del Torino. Svizzera-Italia termina 4-4, con doppietta di Biavati e reti di Loik e Piola. Solo venti giorni dopo gli uomini di Pozzo superano a Milano l’Austria: il granata Castigliano, Mazzola e Piola i marcatori azzurri nel 3-2 finale.
In campionato a nord si impone il Torino, a sud il Napoli. Il regolamento prevede che le prime quattro di ognuno dei due raggruppamenti vadano a comporre il girone finale, che si disputa con gare di andata e ritorno tra aprile e luglio del 1946. Già dalla prima giornata le compagini settentrionali palesano una superiorità su quelle meridionali quasi imbarazzante; il conflitto ha colpito tutta la penisola, ma è il sud del Paese ad aver subito le conseguenze più gravi, spazzando via i risultati di una crescita del movimento calcistico meridionale che lo aveva portato, dopo quarant’anni di affannoso inseguimento, a competere quasi alla pari con il nord.
Il 28 aprile il Torino di Ferruccio Novo campione d’Italia in carica, allenato da Luigi Ferrero, fa visita alla Roma; ne scaturisce un confronto impari, con i granata che realizzano 6 reti nei primi venti minuti. Questo il commento sulla gara del ‘Calcio Illustrato’: “Chi, in questi anni, del gioco del calcio se ne era dimenticato, ha riannodato le fila con il passato; chi nel nostro gioco vedeva la decadenza si è prontamente ricreduto. E a vederli giocare, il grande Torino con la piccola Roma, veniva da pensare che la seconda fosse presa nel gorgo del gioco avversario più che per propria deficienza per incantamento. Ché c’era da incantarsi davvero a vedere giocare il Torino”. Con ogni probabilità Mazzola e compagni non vogliono infierire e rallentano il ritmo realizzando una sola rete nei restanti 70’. Fa specie pensare che la squadra affossata a suon di gol dai granata aveva vinto solo tre anni prima lo scudetto.
Il Toro segna più di tre reti a partita di media e si impone superando in classifica di una solo lunghezza la Juventus. Titolo conquistato matematicamente all’ultimo turno, con un’altra roboante goleada: Torino-Pro Livorno 9-1. Seguono il Milan terzo e l’Inter quarta. Le rappresentanti del centro-sud restano escluse dalla lotta per il titolo e si piazzano tutte dietro alle squadre settentrionali: nell’ordine Napoli, Roma, Pro Livorno e Bari. Valido lo scudetto del Torino, inserito a tutti gli effetti nell’albo d’oro, ma la singolarità del torneo non gli consentirà di essere considerato nelle statistiche relative alla Serie A.
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